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sabato 7 marzo 2009

San Cosmo Albanese

Nel territorio dell’attuale comune di S. Cosmo preesisteva alla venuta degli albanesi un minuscolo agglomerato rurale (Santo Cosma) prima dipendente dal monastero basiliano dei SS. Cosma e Damiano (ubicato nel sito dell’attuale Santuario) e poi aggregato con esso nel XII secolo al monastero di S. Adriano (I. Mazziotti, Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV secolo, Castrovillari 2004, p. 89)

La prima menzione del monastero basiliano dei SS. Cosma e Damiano (secondo il Rodotà si sarebbe trattato, almeno per un certo periodo, di un monastero femminile) si ha in una bolla di papa Urbano II che nel 1088 lo pone, con il monastero di S. Adriano, sotto la giurisdizione di Pietro III, abate benedettino di Cava dei Tirreni: Tibi igitur tuisque successoribus confirmamus in Calabria, in territorio Sancti Mauri, Monasterium Sancti Hadriani cum cellis suis; Monasterium Sanctorum Cosmae et Damiani….Vent’anni dopo esso dipendeva dalla badia di S. Adriano.

Profughi pervenuti nella Sibaritide nel 1470 diedero origine alle comunità albanesi di S. Demetrio, Macchia dell’Orto e S. Cosmo. Il 3 novembre 1471 fu redatto l’atto notarile delle capitolazioni tra l’Abate di S. Adriano e gli albanesi delle tre comunità, le cui vicende per secoli scorreranno parallele. Un’antica tradizione, convalidata anche dalle fonti documentarie, sostiene che per alcuni decenni gli abitanti di S. Cosmo abbiano convissuto con quelli di Vaccarizzo per poi emigrare nei pressi del Santuario. Si tratta evidentemente di un gruppo di albanesi che si aggiunse agli altri ivi già insediatisi, a cui si fa riferimento nelle capitolazione del 1471. Simili trasferimenti erano frequenti perché gli albanesi, in caso di soprusi o di altri gravi problemi, non esitavano a dar fuoco alle misere capanne in cui inizialmente vivevano. Un controesodo (sempre parziale) da S. Cosmo a Vaccarizzo si sarebbe verificato agli inizi del 600 per contrasti con l’abate commendatario Indaco Siscar.

Nella numerazione dei fuochi del 1543 S. Cosmo risulta composto da 53 fuochi e 186 abitanti (superiore a S. Demetrio centro: 51 fuochi e 168 abitanti, mentre Vaccarizzo conta ben 93 fuochi e 305 abitanti). Questi i cognomi registrati: Belluscia, Brescia, Buscia, Cartaro, Dramisi, Macrì, Minisci, Mosacchio, Pillora, Strigali, e il prevalente Tocci. Il prete si chiama Lazzaro Staura.

Grazie al duro lavoro di generazioni le terre un tempo incolte e quasi disabitate della Badia furono trasformate. Le colture, l’allevamento del bestiame e la regolazione dei corsi d’acqua mutarono radicalmente il paesaggio.

L’Abate di S. Adriano deteneva la giurisdizione civile e mista e riceveva numerosi tributi. Al barone laico era riservata la giurisdizione criminale e l’esazione di tributi supplementari. I primi baroni laici furono i Sanseverino, principi di Bisignano e baroni d’Acri. Ad essi seguirono Bernardino Milizia (1597), la famiglia Castriota (1638), di nuovo i Sanseverino (1732) e, infine, i Campagna di Tarsia (dal 1746 al 1806). Frequenti le contese tra abati e baroni. A farne le spese erano gli albanesi, sottoposti di fatto a un doppio giogo e costretti a reagire talora con la violenza, specialmente dopo che, agli inizi del sec. XVII, le pretese dei feudatari divennero sempre più esose.

La classe privilegiata era quella del clero (quasi sempre uxorato). Da un documento del 1732 si evince che i presunti nobili coronei godevano di esenzioni fiscali. Nel corso dei secoli si formò una piccola borghesia rurale (i bonatenenti) proprietaria di terreni, mulini, fornaci, frantoi, e conseguentemente datrice di lavoro alla classe dei braccianti. Non mancavano i coloni e gli artigiani, questi ultimi non di rado calabresi immigrati da Acri o dai casali cosentini.

Dal catasto onciario del 1754 risultano una decina di nobili (bulerë), tra cui tre sacerdoti, quarantatré massari, tredici pastori, nove artigiani, un chierico, un cieco, un soldato di campagna. Le case erano spesso costituite da una sola stanza. Infatti nella parlata locale shpi indica tanto la casa che la stanza.

Questi, all’epoca, i luoghi pii del paese: il Pio Monte dei SS. Cosma e Damiano e cinque Cappelle (dei santi domenicani Vincenzo Ferreri e Rosa da Lima, del Purgatorio, del S. Rosario, di S. Antonio, di S. Pietro).

Le colture più diffuse erano quelle dell’ulivo, della vite e del gelso.

Con la legge del 19 gennaio 1807 S. Cosmo diventa Università e con il regio decreto del 4 maggio 1811 Comune.

Le idee progressiste trovarono un attivo sostenitore in Alessandro Mauro, ricchissimo proprietario terriero, che non esitò a guidare i contadini all’occupazione delle terre comunali, preludendo al moto del 1950. Con lui prese parte alla rivoluzione del 1848 un gruppo di più di 30 sancosmitani. Altri volontari seguirono Garibaldi nell’impresa dei Mille. Nel Plebiscito del 21 ottobre 1860 su un totale di 148 votanti si contarono 144 sì e nessun voto contrario. Primo sindaco di nomina governativa (1861) fù Vinacci senior.

Le vicende successive scorrono analoghe a quelle di tanti paesini del Sud, svuotati dall’emigrazione e costretti a una strenua lotta quotidiana per la sopravvivenza.

sito web http://www.comune.sancosmoalbanese.cs.it

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